I figli hanno davvero dei “doveri”?



Continuando il percorso iniziato con l’intervista alla nostra pedagogista Mariastella, abbiamo pensato di porre alcune domande a Simonetta Cesari e a Luisa Leoni Bassani, che condividono con le coordinatrici la responsabilità educativa delle scuole del Pellicano.
Ciao Simonetta, oggi vorrei farti alcune domande sul rapporto genitori-figli. Comincerei col chiederti se, secondo te, anche i figli hanno dei doveri.
A me non appartiene questo vocabolo e questo modo di pensare alla vita. I bambini hanno un compito forse, più che un dovere, che è quello di crescere seguendo i grandi e capendo cos’è che dà loro soddisfazione. Però non è un dovere. È una cosa che si fa per passione. Sinceramente non ho mai pensato al rapporto genitori-figli e figli-genitori in termini di “dovere”.
È sbagliato secondo te?
Non so se è sbagliato. L’ho sempre pensato in termini di “rispetto” e “amore”. Per cui, le cose da fare o le cose che fanno gli uni per gli altri non rispondono a un dovere, ma a un amore reciproco e a un rispetto della persona integra dell’uno e dell’altro, che sia il genitore o il figlio. Perché le cose fatte per dovere non sempre fanno maturare, mentre le cose fatte per amore sì.
Quindi la crescita avviene attraverso il rispetto e l’amore?
Attraverso l’amore reciproco e il rispetto della persona. Se vogliamo sostituire l’amore, possiamo parlare di passione. Ma questo vale anche per l’esperienza scolastica: il bambino non impara per dovere. Fa delle cose per dovere, magari perché ha un’indole obbediente, ma non basta il dovere come motivazione. Quando finisce quella motivazione siamo perduti, se non ce n’è un’altra.
Invece secondo te, Luisa? I figli hanno dei doveri?
La parola “dovere” è complicata, nel senso che l’essere umano avverte dei doveri nel momento in cui vive un’esperienza di legame. Quindi, non è che i bambini hanno dei doveri previsti da fuori in base a delle regole. Quando un bambino non compie il suo dovere, è come se il dovere fosse una cosa esterna all’essere umano. Invece, il dovere è il configurarsi dall’interno di risposte che si danno a chi si ha davanti a partire da un giudizio, cioè dal paragone che si fa con la cosa e la propria profonda esigenza verso sé stesso. Quindi sì, i figli hanno dei doveri, nel senso che nel rapporto fra genitori e figli nasce una relazione che si configura in un legame da cui derivano delle azioni. Che poi la si consideri come un insieme di regole a cui si deve obbedire, è un altro problema. Ci sono un sacco di azioni che rispondono in realtà a un desiderio di bene che io sento dentro di me e che invece abbiamo codificato come doveri.
Simonetta, infatti, prima parlava di “rispetto” e “amore”.
Sì, esatto. È l’amore che c’è in quel legame. E i bambini sono estremamente sensibili a questo, lo avvertono anche se non è stato codificato: che non bisogna tradire o essere traditi dall’amico.
Invece, cosa ne pensate delle regole? Servono?
Simonetta: La maggior parte delle regole è implicita. Un adulto si struttura le sue regole decidendole in maniera più o meno consapevole. Quando si ha il compito di crescere un bambino, allora questa riflessione si fa in modo più consapevole. La regola è ciò che uno decide che porta alla sua vita un bene. Ad esempio, a scuola ci può essere a regola che si alza la mano per parlare. Però non è tanto una regola, è che se non facciamo così, dopo un po’ parliamo in tre o in quattro e non capiamo più niente. Quindi, lo scopo non è obbedire a una regola, ma capirsi e rispettare l’altro.
Luisa: Le regole sono espressione di un ordine, no? E l’ordine è un elemento importantissimo per l’essere umano, perché possa camminare con sicurezza. Bisogna darle in modo esplicito, ma va comunicato solo ciò che è essenziale per l’ordine della convivenza. Non sono le regole di ordine morale da dare come codice a cui attenersi.
Grazie; ho un’ultima domanda, per oggi. Cosa possiamo dare per scontato con i bambini?
Simonetta: Allora, ci sono delle cose che i bambini imparano da ciò che l’adulto dà per scontato. Ad esempio, io imparo a stare seduto a tavola perché il babbo e la mamma danno per scontato che a tavola si sta seduti, me lo chiedono e, siccome vedo che si fa così, pian pianino lo imparo. Oppure, io do per scontato che non ti devo interrompere mentre parli; mio figlio si accorge che non lo interrompo o che, se lo faccio, lo avviso prima. Quindi, per me è scontato che non si fa. E il bambino poi – piano piano! - lo assorbe quasi per osmosi. La stessa cosa cerchiamo di fare accadere a scuola.
Poi c’è tutta una serie di cose che si danno per scontate ma che in realtà non si dovrebbero dare per scontate. Ad esempio, le parole. Io adulto non posso dare per scontato che il bambino capisca quello che dico, perché può non aver veramente capito le mie parole. Quindi, mi devo un minimo immedesimare o mettermi in una relazione molto limpida con lui per capire se mi ha capito. Io non posso dare per scontato che ciò che sto chiedendo al bambino lo trovi pronto, che non sia stanco, ad esempio: certe volte viene interpretata come disobbedienza ciò che invece in un bambino è solo stanchezza. Cioè, lui non mi obbedisce o reagisce male non perché ha deciso di essere disobbediente, di rispondermi male o di essere aggressivo: quello è il suo modo per dirmi che è stanchissimo, ma non lo capisce neanche lui e non me lo sa dire. Quindi, non posso dare per scontato di interpretare nel modo giusto l’azione del bambino.
Luisa: I bambini imparano tutto. Quindi, meno cose si danno per scontate meglio è. Ma tantissime volte questo per gli adulti significa ripetere continuamente. E allora, l’adulto dà per scontate alcune cose per non doverle sempre ripetere. Però, il bambino, per poter imparare, ha bisogno di sentir ripetere le cose. Anche il fatto di voler bene al bambino: non bisogna mai darlo per scontato. Il bambino non è così sicuro di questo, non lo sa, ma cerca come l’adulto dei segni. Per questo, l’unica cosa che a volte è necessario dare per scontato, è quello che è evidente. Quando un bimbo rompe un bicchiere e lo ha fatto davanti a me, è inutile che io insista per farglielo dire. Lo do per scontato in modo che lui stesso si accorga dell’evidenza.
